Un ruolo del nucleo interposito del cervelletto

 

 

GIOVANNI ROSSI

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XXI – 02 marzo 2024.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

Continuiamo a seguire i progressi della ricerca nella conoscenza della neurofisiologia del cervelletto, che proseguono senza pause ormai da molto tempo, continuando ad arricchire un quadro che si sta componendo come un mosaico, una tessera per volta. Durante il mese di febbraio, appena trascorso, abbiamo recensito nuove acquisizioni su due argomenti fra loro distanti ma ugualmente interessanti: Il Cervelletto modula direttamente sostanza nera e ricompensa (Note e Notizie 03-02-24) e Nuovi meccanismi dei granuli del cervelletto (Note e Notizie 17-02-24). Oggi recensiamo un lavoro che porta un piccolo contributo a un campo di studi molto fecondo e che vede impegnati in tutto il mondo numerosi gruppi di ricerca: il cervelletto nell’apprendimento.

Operativamente si considera l’apprendimento uno stato funzionale dell’encefalo, e più in generale del sistema nervoso centrale, che dovrebbe essere inteso – come noi sosteniamo da oltre vent’anni – come un processo continuo, piuttosto che limitarlo alle tre fasi di registrazione, immagazzinamento e rievocazione di una specifica esperienza, come nel paradigma sperimentale necessario allo studio dei meccanismi. Il cervelletto partecipa comparando stati funzionali previsti, ossia modelli del repertorio memorizzato, con gli stati funzionali attuali, imparando dagli errori e aggiornando le sue rappresentazioni interne per minimizzare la possibilità di errare. Gloria G. Parras e colleghi guidati da Rocio Leal-Campanario hanno studiato il ruolo del nucleo interposito cerebellare nell’apprendimento.

(Parras G. G. et al., Cerebellar interpositus nucleus exhibits time-dependent errors and predictive responses. NPJ Science of Learning – Epub ahead of print doi: 10.1038/s41593-024-00224-y, 2024).

La provenienza degli autori è la seguente: Divisione di Neuroscienze, Università Pablo de Olavide, Siviglia (Spagna).

La denominazione di nucleo interposto o interposito non più adoperata nell’anatomia umana del cervelletto (v. più avanti) perché i due nuclei interposti posteriore e anteriore sono rispettivamente denominati nucleo globoso e nucleo emboliforme, è utile in anatomia comparata perché nei mammiferi inferiori il nucleo interposito è l’omologo dei nostri globoso ed emboliforme fusi. Questa premessa aiuta a trasferire alla realtà umana quanto definito in termini di meccanismi da Gloria G. Parras, Rocio Leal-Campanario e colleghi nel coniglio.

Come in precedenti occasioni[1] proponiamo un richiamo all’anatomia del cervelletto, che qui si riprende per la parte relativa alla corteccia da una nostra recensione di quattro anni fa[2] e, per la struttura nucleare, da un altro nostro articolo di tre anni or sono[3].

Il cervelletto è quella parte dell’encefalo che occupa la fossa cranica posteriore ed è presente in tutti i vertebrati con uno sviluppo proporzionato a quello del cervello. Si presenta costituito da tre parti: una struttura mediana di minore dimensione denominata verme cerebellare, corrispondente al cervelletto primitivo presente anche nei più bassi vertebrati (paleocerebello), e due espansioni laterali dette emisferi cerebellari. È situato nella loggia cerebellare delimitata dal tentorio e si sviluppa sotto il cervello, dietro il ponte, sopra il bulbo. Il suo diametro trasverso raggiunge un massimo di dieci centimetri, mentre verticalmente supera raramente i cinque centimetri per un peso complessivo medio di 140 g, ossia l’ottava parte del peso del cervello. I solchi del cervelletto consentono di ripartirlo in tre lobi e numerosi lobuli, accuratamente descritti dagli antichi anatomisti secondo criteri che non hanno trovato riscontro fisiologico o utilità clinica.

Il fascino esercitato sugli antichi morfologi dalla struttura corticale cerebellare costituita da innumerevoli lamelle è stato superiore a quello dell’organizzazione in rami e ramoscelli diretti ai lobuli della sostanza bianca del centro midollare o tronco, cui diedero il suggestivo nome di albero della vita. Contrariamente a quanto creduto da alcuni studiosi contemporanei di storia della medicina, questa denominazione non trae affatto origine dall’erronea attribuzione al cervelletto di un ruolo vitale nella fisiologia dell’organismo, ma dall’analogia morfologica con la tuia (Thuja, L. 1753), una pianta arborea sempreverde delle Cupressaceae che presenta, al posto di foglie larghe, verdi diramazioni e sotto-diramazioni multiple costituite da minuscole scagliette foliacee[4]. A differenza del cervello, in cui la sostanza bianca ha un’enorme espansione indipendente con le sue strutture interemisferiche e il centro ovale di Vieussens, entrando solo perifericamente nella costituzione dei giri corticali, nel cervelletto l’aggregato pirenoforico corticale segue come un rivestimento tutte le diramazioni della sostanza bianca che, nell’aspetto morfologico macroscopico delle sezioni dell’organo, appare come un semplice complemento della preponderante struttura grigia.

La corteccia del cervelletto ha lo spessore di un millimetro o un millimetro e mezzo, e al taglio rivela due zone di aspetto differente: 1) uno strato esterno o superficiale di colore grigio pallido; 2) uno strato interno o profondo dal colorito tendente al fulvo rossastro, che giustifica la definizione di strato rugginoso.

L’esame microscopico della corteccia cerebellare consente di distinguere uno strato esterno o molecolare, che costituisce circa la metà dell’intera struttura e presenta abbondanza di fibre e scarsità di cellule, e uno strato interno o granuloso caratterizzato da numerosissime cellule.

Fra queste due lamine di tessuto grigio si interpone uno strato intermedio o zona mediana, sottile ma caratterizzata da una fila di neuroni esclusivi del cervelletto e dalla morfologia inconfondibile: le cellule di Purkinje.

Le cellule di Purkinje sono disposte a formare una fila abbastanza regolare, anche se a tratti si notano lievi irregolarità, perché alcuni di questi neuroni inibitori GABAergici sono dislocati verso la superficie esterna della corteccia, non in linea con la maggioranza, tanto da meritarsi il nome di “cellule spostate”, con il quale erano state descritte da Santiago Ramon y Cajal. Le cellule di Purkinje sono piriformi, con l’asse maggiore di 50-60 micron e una larghezza non superiore ai 25-30 micron, e presentano al polo superiore, rivolto verso la superficie esterna della corteccia, un tronco dendritico di grande calibro che si divide presto in grosse diramazioni principali, dalle quali originano, con una morfologia che ricorda un po’ quella dei rami della quercia, diramazioni secondarie e terziarie, che penetrano nello strato molecolare. L’espansione a ventaglio si risolve in una “lussureggiante arborizzazione che si può seguire fino alla superficie piale”[5], secondo la descrizione classica. Sui rami si possono osservare le numerosissime spine dendritiche, che in questi neuroni sono state accuratamente studiate nell’ultrastruttura al microscopio elettronico. È interessante la disposizione della fitta arborizzazione dendritica delle cellule di Purkinje, che Obersteiner paragonò a una pianta di vivaio fatta sviluppare intorno a un “sostegno a spalliera”, da cui la denominazione di spalliera dendritica che si adotta attualmente. Questa struttura è infatti disposta su un piano ortogonale rispetto a quello principale della lamella della corteccia del cervelletto, per cui si dice che l’arborizzazione a spalliera “si espande per traverso alla lamella”[6].

Dal polo opposto o interno della cellula di Purkinje origina il neurite che diventa cilindrasse, ossia assone rivestito di mielina[7], presentando la caratteristica di un diametro inferiore a quello del tronco dendritico, all’opposto di quanto accade per la maggior parte dei neuroni. Dopo un tratto più o meno breve, l’assone emette rami collaterali, alcuni dei quali terminano nello strato granuloso mentre altri risalgono come collaterali retrogradi fino al molecolare dove assumono decorso orizzontale e terminano circondando con una terminazione anulare il tronco dendritico della stessa cellula, di un’altra o di numerose altre cellule di Purkinje, realizzando un controllo inibitorio retrogrado dell’input che arriva dalle sinapsi formate dalle spine della spalliera dendritica con i neuriti dei neuroni che compongono la citoarchitettonica corticale. Dopo aver emesso i collaterali, proseguendo il suo percorso, il neurite entra con la miriade di altri cilindrassi omologhi nella sostanza midollare, dove costituisce la connessione diretta ai nuclei centrali del cervelletto, ossia la via cortico-nucleare cerebellare.

In estrema sintesi la struttura della corteccia cerebellare può essere schematizzata come segue.

1)      Lo strato molecolare, esterno, caratterizzato dalla cellula dei canestri: contiene ramificazioni dendritiche delle cellule di Purkinje, le fibre rampicanti e i rami orizzontali dei neuriti dei granuli, che costituiscono la maggioranza delle fibre di questo strato.

2)      Lo strato granuloso, interno, caratterizzato dal tipo neuronico del granulo e dai caratteristici glomeruli cerebellari nei quali si incontrano le fibre muscoidi e i dendriti dei granuli. Tutto lo spessore è attraversato da fibre muscoidi e fibre rampicanti, come da tutte le altre fibre afferenti, e contiene il corpo delle cellule a pennacchio, particolari elementi della glia descritti per la prima volta da Cajal.

3)      Lo strato intermedio delle cellule di Purkinje attualmente descritto come parte dello strato molecolare, che è stato considerato in passato l’elemento base del cervelletto. Infatti, alle singole cellule di Purkinje, che ricevono segnali dalle fibre rampicanti direttamente e dalle fibre muscoidi indirettamente per interposizione dei granuli, e forniscono l’unico output dalla corteccia, è stato dato il nome di “cervelletto istologico”.

 

La corteccia del cervelletto è la regione dell’encefalo in cui è stata stabilita con maggiore precisione la correlazione fra anatomia e fisiologia, e l’affascinante ricerca che ha portato alla definizione della sua architettura cellulare ha avuto inizio nel 1888 con gli studi realizzati da Santiago Ramòn y Cajal, usando il metodo dell’impregnazione argentica di Camillo Golgi, ed è proseguita nel secolo successivo grazie soprattutto alle osservazioni di sir John C. Eccles e collaboratori. Dalla scuola di Eccles proveniva Rodolfo R. Llinas, che nel 1975 integrò il suo contributo sperimentale in una sintesi schematica e concettuale resa in una iconografia ancora oggi adoperata per illustrare la disposizione nelle tre dimensioni dello spazio degli elementi che formano i circuiti della corteccia cerebellare[8].

Con questi studi classici fu anche definita la natura delle fibre muscoidi e delle fibre rampicanti. Entrambi i tipi di assoni sono eccitatori, ma obbediscono a criteri funzionali differenti e sostanzialmente opposti.

Le fibre rampicanti provengono da formazioni distanti, come il nucleo olivare inferiore, e ciascuna si dirige verso la cellula di Purkinje che costituisce il suo specifico bersaglio fin dallo sviluppo embrionario e sulla quale forma anche più di 300 sinapsi: la scarica della fibra rampicante è estremamente violenta e fa scomparire ogni attività del neurone di Purkinje, come fu dimostrato già nel 1964 da Eccles, Sasaki e Llinas.

Le fibre muscoidi, al contrario, eccitano numerose cellule di Purkinje, formando solo poche sinapsi su ciascuna di esse, e le raggiungono sempre con l’intermediazione dei piccoli interneuroni detti granuli.

Una descrizione anche sintetica dell’organizzazione funzionale della corteccia del cervelletto richiederebbe uno spazio di dimensioni sproporzionate in rapporto al testo e all’oggetto dell’articolo, per cui si rimanda alle trattazioni di neuroanatomia funzionale, corredate da immagini che consentono la comprensione dei rapporti reciproci fra cellule e dell’organizzazione spaziale di questi sistemi neuronici[9].

All’interno della struttura del cervelletto le lamine midollari confluiscono formando una massa di sostanza bianca centrale che contiene i tipici quattro nuclei pari: dentato, globoso, emboliforme e nucleo del tetto.

Il nucleo dentato è il più grande e laterale dei nuclei, e si presenta come una lamina di neuroni irregolarmente ripiegata, che racchiude una massa di fibre principalmente costituite da assoni e dendriti dei neuroni dentati; queste cellule sono di media grandezza (20-30 micron). La sua forma ricorda quella di una borsetta di pelle con l’apertura rivolta in direzione mediale, e corrispondente all’ilo del nucleo che contribuisce alla costituzione del peduncolo cerebellare superiore.

Il nucleo globoso (o n. posteriore interposto) è sito medialmente al nucleo emboliforme ed è continuo con il nucleo del tetto. Come gli assoni del nucleo dentato e dell’emboliforme le fibre dei suoi neuroni entrano nella costituzione del peduncolo cerebellare superiore.

Il nucleo emboliforme (o n. anteriore interposto) è laterale al nucleo globoso e si continua lateralmente con il nucleo dentato.

Il nucleo del tetto è localizzato in prossimità della linea mediana, al margine del tetto del quarto ventricolo. I neuroni di questo nucleo sono prevalentemente di grandi dimensioni (40-70 micron) e una gran parte dei loro assoni incrocia nella sostanza bianca della commessura cerebellare[10]. Dopo la loro decussazione, costituiscono il fascicolo uncinato che passa dorsalmente al peduncolo cerebellare superiore per giungere al nucleo vestibolare del lato opposto. Le fibre che non incrociano entrano nel nucleo vestibolare omolaterale; un piccolo contingente ascende verso il peduncolo cerebellare superiore[11].

La sperimentazione recente ha fornito dati molecolari a sostegno degli studi che hanno dimostrato un ruolo del cervelletto nella fisiologia cognitiva, in particolare modulando il circuito a ricompensa dopaminergico, il linguaggio e il comportamento sociale.

I nuclei del cervelletto possono essere definiti sub-strutture che trasferiscono informazioni elaborate nel cervelletto da questa sede ad altri territori dell’encefalo. Un elemento caratteristico della specie umana è il notevole sviluppo della connessione di questi aggregati grigi con la corteccia cerebrale del lobo frontale[12].

Gloria G. Parras, Rocio Leal-Campanario e colleghi hanno studiato le proprietà funzionali del nucleo interposito cerebellare di coniglio, registrando la sua attività elettrica unitaria in esemplari in libera attività, durante un compito di apprendimento associativo: il condizionamento classico della risposta palpebrale.

I ricercatori hanno registrato i neuroni del nucleo interposto durante il classico battito di palpebra condizionato, usando un tipico delay paradigm. All’analisi dei rilievi dell’attività elettrica neuronica è risultato evidente che le cellule nervose del nucleo del cervelletto riducono i segnali di errore da una sessione di condizionamento all’altra, simultaneamente accrescendo e trasmettendo picchi di potenziali d’azione prima della comparsa dello stimolo non condizionato. Così, i neuroni del nucleo interposito evidentemente generano previsioni che ottimizzano nel tempo e nella forma la riposta del battito di palpebre condizionato.

Un aspetto particolarmente rilevante di questo studio è dato dal fatto che i risultati emersi sono coerenti con l’idea che il cervelletto agisce nel rispetto di regole bayesiane, aggiornando i pesi grazie al patrimonio diacronico.

 

L’autore della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Giovanni Rossi

BM&L-02 marzo 2024

www.brainmindlife.org

 

 

 

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[1] Note e Notizie 30-09-23 Cervelletto in anatomia e filogenesi in 56 specie di mammiferi; Note e Notizie 16-09-23 Interneuroni del cervelletto controllano il consolidamento mnemonico; Note e Notizie 03-02-24 Il cervelletto modula direttamente sostanza nera e ricompensa.

[2] Note e Notizie 26-09-20 La corteccia del cervelletto umano è sorprendente.

[3] Note e Notizie 23-01-21 Origine nel cervelletto delle connessioni cognitive.

[4] Il nome greco θυία vuol dire “cedro” ed è stato dato per l’odore emanato dal legno di questa pianta. Originaria di Cina, Giappone, Alaska e regione dei grandi laghi del Nord America, in latino era detta Arbor vitae; come vuole la legge linguistica del “conservatorismo della periferia”, in America si è mantenuta la forma latina abbandonata in Europa ed è ancora chiamata arborvitae. L’origine della denominazione della sostanza bianca cerebellare è riportata nel Trattato di Anatomia Umana di Testut e Latarjet (vol. III, p. 241, UTET, Torino 1974 e seguenti ristampe), nel quale la translitterazione dal greco è resa con thuya.

[5] Testut e Latarjet, op. cit., vol. III, p. 242.

[6] Testut e Latarjet, op. cit., ibidem.

[7] Ricordiamo che fu Purkinje, lo scopritore di queste cellule, che introdusse il termine “cilindrasse” per denominare l’assone rivestito da mielina nel sistema nervoso centrale e distinguerlo dai neuriti delle fibre amieliniche.

[8] Llinas R. R., La corteccia del cervelletto. Le Scienze 81, maggio 1975, ristampato in Il Cervello – organizzazione e funzioni (a cura di Angelo Majorana), pp. 120-131, Le Scienze Editore, Milano 1978.

[9] Note e Notizie 26-09-20 La corteccia del cervelletto umano è sorprendente.

[10] È interessante notare che non si tratta di fibre commissurali come quelle del cervello, dove il corpo calloso, ad esempio, connette punti omotopici dei due emisferi. Anche se si chiamano commissurali, le fibre del cervelletto semplicemente attraversano la linea mediana, ma hanno una diversa identità morfo-funzionale.

[11] Note e Notizie 23-01-21 Origine nel cervelletto delle connessioni cognitive.

[12] Questo richiamo sintetico all’anatomia cerebellare si trova anche in Note e Notizie 15-10-22 Il cervelletto nella memoria emozionale, in cui si recensisce un interessante studio di Matthias Fastenrath e colleghi.